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La Pisa dantesca: scopriamo il centro storico

Pisa dantesca: scopriamo il centro storico. Nell’articolo La Pisa di Dante: Piazza dei Miracoli abbiamo visto come si presentava questa famosa piazza all’epoca in cui visse Dante.

Ora invece osserveremo insieme com’era il centro della città all’epoca.

Sulla strada per via Santa Maria

Pisa dantesca: scopriamo il centro storico. Scendendo per via Santa Maria, il fossato delle antiche mura, si procedeva attraverso una delle arterie principali di Pisa: univa il porto, il quartiere degli artisti, il Comune e il Duomo.

La strada terminava con un ponte privato che conduceva alla chiesa di Santa Maria, da poco diventata Santa Maria della Spina poiché ospitava una delle spine della Corona di Cristo.

La spina era stata donata dal re di Francia alla città di Pisa per i servizi di Fra’ Mansuetto, fedele collaboratore dell’arcivescovo Visconti.

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I ricchi mercanti e le famiglie nobili della città avevano da tempo iniziato ad acquistare le vecchie case-torri e ad unirle insieme per creare meravigliosi palazzi gotici.

Come, ad esempio, la Domus dei Bocci o la Domus dei Gualandi, entrambe situate all’ombra dell’imponente Torre Gaetani (o del Cantone), oggi integrata nel Palazzo Reale.

È bene ricordare che i Gualandi sono coloro che con Sismondi e Lanfranchi danno la caccia ai lupi della Gherardesca. al monte in modo che i pisani vedano Lucca non ponnoe i Gaetani, di cui parleremo in un’altra occasione e che sono cugini del famoso Bonifacio VIII.

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Queste case, oggi in gran parte rivestite con gesso e colori pastello importati dalla moda rinascimentale fiorentina, avevano grandi archi, che i pisani copiarono dalle loro navi.

All’interno c’erano grandi balconi in legno che da un lato permettevano di guadagnare spazio in zone molto costose e dall’altro consentivano di areare la casa, lasciandosi alle spalle le cupe torri dell’eterno feudo comune.

Pisa antica

Piazza dei Cavalieri

A pochi metri da via Santa Maria attraversando San Sisto si entra nella Piazza delle Sette Vie, oggi dei Cavalieri, che all’epoca era molto diversa.

Quest’area era sempre stata il centro della vita politica pisana: i Romani vi avevano collocato il loro foro, con il Cardo Maximo sulla destra, all’epoca già noto come Borgo Largo e Borgo Stretto.

La Curtis (la Corte), che all’epoca fiancheggiava il fiume, sotto la Torre Gaetani, duecento anni prima era stata trasferita in questa zona: prima a San Sisto in Cortevecchia e poi alle Sette Vie.

Piazza dei Cavalieri

Quando l’arcivescovo Visconti occupò la sua cattedra, le Arti avevano imposto il governo del Popolo ai vecchi ghibellini.

I mercanti, preoccupati per le conseguenze della difesa ad oltranza di Federico e Corradino, misero fine alla famiglia di nobili che governava la città ed entrarono nel governo con Potestà e consoli.

Un grande governo richiedeva grandi spazi e i pisani costruirono il municipio imitando il primo costruito in Toscana: quello di Volterra.

Nuovo centro del potere pisano, il Palazzo del Comune era un gigantesco complesso composto da 10 torri di 4 piani e 3 grandi torri di 5 piani che dominavano le Sette Strade.

Di fronte al magnifico Palazzo si ergeva la torre del Capitano del Popolo, gemella della torre Gualandi, alla quale oggi è unita dal famoso arco.

In quei giorni la torre doveva ancora esporre le cicatrici della battaglia tra Ugolino e Ruggieri, che alla fine spinse i seguaci della Gherardesca alla libertà grazie all’incendio dell’edificio.

Solo pochi mesi prima, coloro che governavano il Comune avevano aperto le porte per non sentire più i lamenti del Conte e della sua famiglia e avevano trovato i loro scheletri rosicchiati dai topi.

San Bastiano

A destra del Municipio si trovavano San Bastiano alle Fabbriche Maggiori, la chiesa delle Sette Arti Maggiori e gli Ordini della Lana, del Mare e dei Mercanti.

E proseguendo per via San Bastiano, teatro principale della battaglia di cui abbiamo parlato, troviamo il Palazzo del Podestà e la porta di San Felice, di fronte all’omonima chiesa, di proprietà dei Visconti.

La vita vicino al fiume Arno

Dietro l’arco di questa porta c’era la folla che animava il borgo, la strada che – unita alla Carraia grazie al Nuovo Ponte di Arno (Ponte di Mezzo) – attraversava la città da Porta del Parlascio a Porta di San Giglio.

Da sinistra provengono le colate dell’antico forisportam che cresceva all’ombra di Santa Caterina, San Francesco e San Michele.

Qui il rumore costante delle officine e dei negozi locali era la musica che accompagnava i visitatori dall’alba al tramonto.

A quel tempo le case avevano invaso le strade con i loro portici e i mercanti iniziarono a trasformare le decadenti case-torre in palazzi.

Scendendo verso il fiume, il lato sinistro era il territorio dei Visconti, che controllavano S. Pierino e la via delle Belle Torri.

Sul lato destro c’era un labirinto infinito di torri di vassalli stipate intorno alla torre del loro signore, ognuna con la sua piccola cappella, quasi senza spazio, con negozi al piano terra e affacciate sulle piazze gremite di venditori ambulanti.

La vita vicino al fiume Arno

Dall’altra parte del fiume sorgevano altissime case-torri di 8 o 9 piani, come quelle che oggi sono nascoste dalla Royal Victoria, dai Lanfreducci o dai Gaetani.

I bei palazzi degli Agostini Venerosi della Seta non esistevano ancora, e il Lungarno era una successione interrotta di torri e case basse.

La città accedeva direttamente al fiume all’altezza delle spiagge, dove le navi scaricavano le loro merci dopo i controlli doganali.

Nella parte più alta del litorale si trovavano negozi, banche e botteghe artigiane.

La torre della Gherardesca era stata da poco distrutta, i vincitori decretarono l’imperativo divieto di ricostruzione su quelle rovine: ancora oggi la casa di Ugolino è nello stato in cui fu lasciata allora.

Su entrambi i lati del Ponte Nuovo c’erano piccole case, come quelle che ancora oggi apprezziamo sul Ponte Vecchio a Firenze.

L’ingresso della Carraia (oggi Corso Italia) era protetto dalle torri del Podestà e del Bargello, unite da un arco.

Sotto la Torre del Podestà si trovava la Cappella di San Bastiano e in una loggia sotto la Torre del Bargello si riuniva l’universitas catalanorum, i mercanti catalani che avevano ancora ottimi rapporti con Pisa e che avevano da poco ottenuto che i pisani assegnassero loro un console che si preoccupasse dei loro interessi.

In quegli anni il fiume era un luogo pericoloso.

Con i conti incitati alla ribellione dagli Upezzinghi, dai Gaetani e dai Caproni, con le incursioni della Lega Guelfa agli ordini di Nino Visconti da Lucca, con i fiorentini in Valdera e i genovesi che assediavano la foce e Livorno, Pisa era disperata.

Infatti, aveva riposto tutte le sue speranze in Guido da Montefeltro, “il nobilissimo nostro latino Guido montefeltrano” lodato da Dante nella Divina Commedia anche se lo incontra all’Inferno (Canto XXVII) dove finì per un consiglio sbagliato dato a Bonifacio, “il principe dei nuovi farisei”.

Guido con i suoi balestrieri era tanto stimato dai pisani quanto dai fiorentini e dai lucchesi, ma le condizioni di pace gli imponevano di lasciare la città di Pisa.

E non si poteva dargli torto visto che, grazie a Guido, Pisa aveva recuperato la Valdera e la Maremma a Grosseto e aveva fermato le invasioni che i nemici inviavano sia da nord che da sud.